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INTERVISTA AD ALDO CAZZULLO di Luciano Armeli Iapichino

13 maggio,2020. Il cenacolo di antimafia e attualità promosso dalla Fondazione Antonino Caponnetto e dall’Osservatorio Mediterraneo sulle mafie e la Criminalità Organizzata (OMCOM), che in queste settimane più o meno buie sta “fotografando” il Paese attraverso le voci di autorevoli personalità del mondo antimafia, della politica e della cultura, propone la “visione delle cose” di un intellettuale molto apprezzato nel panorama culturale italiano e non solo: Aldo Cazzullo , scrittore ed editorialista del Corriere della Sera. Cazzullo, che ha una forte esperienza sui fatti del mondo grazie al suo essere giornalista e a un formidabile ecoscandaglio critico che lo porta oltre l’osservazione apparente dei fatti, ha risposto alle sollecitazioni del nostro Luciano Armeli Iapichino , sull’informazione, sull’identità nazionale, sulle “macerie” di una Europa sempre più moribonda e sui libri. E sì, perché i libri restano sempre un riferimento inamovibile di orientamento e di sopravvivenza anche qu

I LIBRI

Luciano Armeli Iapichino ha pubblicato: Il tiranno e l’ignoranza (2009) (Armenio Editore) Le vene violate. Dialogo con l’urologo siciliano ucciso non solo dalla mafia (2011) (Armenio Editore) L’uomo di Al Capone. Tony Lombardo dall’indigenza siciliana a zar del crimine nella Chicago anni ’20 (2014) (Armenio Editore) Nino Ferraù. Un intellettuale. La sua anima. La sua epoca – a cura di – (2015) (Leonida Edizoni) Semantica di un sentimento. Viaggio nelle terre dell’amore (2016) (Leonida Edizoni) Lucido delirio. Riflessioni socio-esistenziali alla luce del pensiero divergente (2017) (Armenio Editore) I Vicerè delle agromafie. Storia di sbirri, bovini, malarazza, antimafia e mascariamenti (2020) (Armenio Editore). L'uomo delle tartarughe. Conversazioni con un sionista tra storia e momoria (2021);  Un solo rogo d'anima e di carne. Nino Ferraù: lettere d'amore a Maria (1957-1959) (2022).   I cani di Didyme. All’ombra del faro . (2023)  Per acquistare i li

L’ITALIETTA CHE AMÒ MUSSOLINI... E QUELLA CHE LAPIDÒ PASOLINI di Luciano Armeli Iapichino

Nell’Italietta che in tempi di pandemia riesce a trovare la sensibilità di rispolverare il Ventennio fascista con imbarazzanti operazioni “nostalgia” editoriali; e che subisce ancora il fascino, la presenza e l’azione politica di altri costruttori di Ventenni poco edificanti, ricordo il Ventennio che ha crocifisso, lapidato, processato, ingiuriato, deriso, menato e ammaccato con le ruote di una macchina, PIER PAOLO PASOLINI: la poesia, la letteratura, il cinema, il pensiero critico, la libertà di espressione in tutte le sue forme. Non c’è molta differenza, in termini di qualità spirituale, tra questa e quell’Italietta che ha defecato sull’anima pasoliniana quale vessillo di quel segmento sociale che parla con i linguaggi della cultura autentica. Si poteva un intellettuale perseguitare per vent’anni al pari (forse) di un latitante? Si può, oggi, venerare o stimare il pregiudicato, il massone, chi incarna lo squallore a vario titolo e ruolo? L’intellettuale, l’artista, il creativo, viv

SULLA CULTURA MEDIO-BORGHESE

La cultura MEDIO-BORGHESE è quella più corruttibile, miserrima, putrida, falsa, ipocrita. Sporca l’anima, contamina con modi di fare da evitare, zavorra. Manifesta delirio di onnipotenza senza concretezza, è arrogante, ha disagio relazionale, viene identificata come bluff nei contesti autentici e di livello e, nell’analisi delle menti superiori, è emarginata e declassata. Anche se è convinta di avere seguito che, di fatto, è solo immaginario. Il consumismo di cui si nutre e il ruolo sociale conseguito, per cui si pavoneggia, costituiscono l’inganno di un sentimento e di un auto-convincimento di essere umano alto, arrivato e che conta. La cultura BASSA e quella ELEVATA, di contro, sono le più autentiche. La prima è emblematica di una vita votata al sacrificio giornaliero, genuina, pura, sincera e che subisce le difficoltà dell’esistenza. Per certi aspetti rassegnata e senza grosse pretese. Ma dal rigore morale fermo. Mi intrattengo spesso a dialogare con contadini, anziani e paesani:

L'AMBULATORIO

Dopo pranzo, con le magliette e il muso ancora sporchi di salsa, ci si vedeva all’ambulatorio, il ritrovo delle simpatiche canaglie, il cui cortiletto era il nostro stadio da calcio. Una porta era stata disegnata nel muro; l’altra era l’inferriata che dall’altro lato si affacciava sulla strada dinanzi alla caserma dei Carabinieri. Spesso si trasformava in un lazzaretto, con musi sdentati, ginocchia sbucciate e “tumpuluni”. Fin quando Ciccio, incazzato, se ne andava via con il pallone, che era il suo, o quando arrivavano i più grandi esordendo prepotentemente con: “o iocu o sburdu u ioco!” “O gioco o rompo il gioco!” Una volta il pallone entrò dalla porta della caserma, aperta qualche attimo prima della pallonata dal maresciallo con l’espressione sempre incazzata, e quella fu l’ultima volta che lo vedemmo. Lo sostituimmo con un altro più “dannato” e dannifico Super Santos: un’altra pallonata frantumò per l’ennesima volta i vetri di una finestra del piccolo

SONO PASSATI TRENTACINQUE ANNI ...

Quando ero bambino non volevo fare il chierichetto. Per due semplici motivi: - Il primo. Avevo paura delle bare e delle urla dei familiari del de cuius (il rito funebre siculo imponeva la disperazione teatrale più estrema possibile), per cui mi nascondevo aggrappato e terrorizzato dietro la tunica dell’arciprete Savio che mi riportava, puntualmente, dinnanzi al feretro di forza unitamente all’acquasantiera. A siffatto terrore si univa, sempre da protocollo, l’incipit della marcia funebre accompagnato da un urlo squarciagola della serie: “Gioiaaa saluta u quarteri...” - Il secondo. Portare la ghirlanda era sempre più remunerativo che fare il chierichetto. A ogni modo, mia madre garantiva per quest’ultima opzione quando il prete telefonava. Andavo ovviamente in perdita di gelati o bibite. E poi, fu quello il momento in cui ho scoperto le qualità taumaturgiche del limone. Dinanzi al cimitero, dopo la cerimonia funebre in chiesa e la processione di rito (circa 2 km) sino all’ultimo salut

L'AMORE PER HEGEL

Il primo corso di lezioni che seguii all’Università di Messina fu quello del Professore Girolamo Cotroneo sulla Filosofia del Diritto di Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Come dire: partenza con il botto. Un giorno la lezione era stata abbastanza complessa tanto da scoraggiarmi. Rientrando a casa, che condividevo con mia sorella, per la via S. Agostino che incrociava la XXIV Maggio (quest’ultima era quella della pavimentazione che t’inzuppava i pantaloni se mettevi il piede nel posto sbagliato dopo un acquazzone), assorto nei miei pensieri e soprattutto nelle mie preoccupazioni per la difficoltà del corso di laurea, udii un fischiettio abbastanza familiare. Alzai gli occhi ed era il mio papà che era venuto a trovarmi insieme a mia madre per portarci le conserve dal paesello (più di cento km). Mi aveva osservato per un pezzo. Indossavo una giacca verdastra e un jeans. Portavo i libri sottobraccio. A lui mancavo molto. Si era ritrovato pure senza l’altro figlio in casa. Mi sorella era gi