Nell’Italietta che in tempi di pandemia riesce a trovare la sensibilità di rispolverare il Ventennio fascista con imbarazzanti operazioni “nostalgia” editoriali; e che subisce ancora il fascino, la presenza e l’azione politica di altri costruttori di Ventenni poco edificanti, ricordo il Ventennio che ha crocifisso, lapidato, processato, ingiuriato, deriso, menato e ammaccato con le ruote di una macchina, PIER PAOLO PASOLINI: la poesia, la letteratura, il cinema, il pensiero critico, la libertà di espressione in tutte le sue forme. Non c’è molta differenza, in termini di qualità spirituale, tra questa e quell’Italietta che ha defecato sull’anima pasoliniana quale vessillo di quel segmento sociale che parla con i linguaggi della cultura autentica.
Si poteva un intellettuale perseguitare per vent’anni al pari (forse) di un latitante?
Si può, oggi, venerare o stimare il pregiudicato, il massone, chi incarna lo squallore a vario titolo e ruolo?
L’intellettuale, l’artista, il creativo, vivono, oggi come allora, nella loro solitudine fatta di continuo studio, approfondimento - Pasolini parlava di laboratorio - con “pochissimi amici e molti conoscenti” che si elevano a guru esplicativi delle tavole mosaiche della contemporaneità. Vivono accerchiati da detrattori e subiscono volentieri la condizione della fuga dai baratri sociali in cui spesso si trovano impantanati per motivi socio-professionali. E l’intellettuale, attenzione, non è solo chi vive la cultura come mestiere ma anche chi esercita la sua sensibilità nelle cose della vita reale, chi percepisce e subisce le sfumature del nulla, dell’arroganza, del misero, del marcio politico. Viviamo in tempi di olocausto del pensiero, di cancellazione dei filtri dell’informazione e della visibilità, di orinatoio della meritocrazia, di santificazione del nulla. Dalle mie parti si intravedono ancora politici con la processione al seguito di miserrimi lecchini, stile vecchi democristiani, che li incoronano alla stregua di divi da baciamano. Uno spettacolo indecente prima che imbarazzante. È l’Italietta che, con l’avvicendarsi delle festività, rispolvera le vecchie logiche di genuflessione con il pensierino al capo di turno. I Re Magi stanno già sellando i cammelli, bardati di leccornie e umiliazioni, nei corridoi del pubblico e del privato. Come quando la gente spintonava per farsi immortalare all’Altare della Patria a Roma per imbucare la fede d’oro quale atto di fedeltà al baratro e chi quel baratro lo ha subìto morendo, unitamente al suo futuro e ai suoi affetti, nei campi di battaglia di una guerra che ideologicamente non gli apparteneva. Mi fa pena questa Italietta, la stessa che brinda nei salotti dell’ipocrisia, non legge e che vorrebbe governare su tutti.
Ma c’è pure quell’Italia che amò Pasolini e che resiste alla dittatura medio borghese omologante.
E demo-fascista.
Meglio restare cani randagi sciolti da ogni padrone che inservienti e acefali cani lupo sulle banchine dei campi di concentramento dello spirito contemporaneo.
Luciano Armeli Iapichino
In foto, Pasolini da Il Pais
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