Dopo pranzo, con le magliette e il muso ancora sporchi di salsa, ci si vedeva all’ambulatorio, il ritrovo delle simpatiche canaglie, il cui cortiletto era il nostro stadio da calcio. Una porta era stata disegnata nel muro; l’altra era l’inferriata che dall’altro lato si affacciava sulla strada dinanzi alla caserma dei Carabinieri. Spesso si trasformava in un lazzaretto, con musi sdentati, ginocchia sbucciate e “tumpuluni”. Fin quando Ciccio, incazzato, se ne andava via con il pallone, che era il suo, o quando arrivavano i più grandi esordendo prepotentemente con: “o iocu o sburdu u ioco!” “O gioco o rompo il gioco!” Una volta il pallone entrò dalla porta della caserma, aperta qualche attimo prima della pallonata dal maresciallo con l’espressione sempre incazzata, e quella fu l’ultima volta che lo vedemmo. Lo sostituimmo con un altro più “dannato” e dannifico Super Santos: un’altra pallonata frantumò per l’ennesima volta i vetri di una finestra del piccolo ...
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Questo spazio è per quel raro prototipo di essere umano dignitoso, libero, non addomesticabile, che si nutre di pensiero divergente e che ama la sosta. (L.A.I)