Eugenène Delacroix, La barca di Dante, 1822, Musée du Louvre, Parigi.
In occasione del Dantedì,
ricordando il Sommo Poeta nel settimo centenario della morte, proponiamo una
curiosità che intreccia la parabola esistenziale di Dante con quella culturale
di Cicerone e Boezio. Un legame, il loro, tenuto annodato nei secoli da un
collante senza tempo: il dolore. Sotto la supervisione della filosofia.
Dante conosceva approfonditamente il grande Marco Tullio Cicerone che
nel Medioevo veniva apprezzato più per le sue incursioni nel campo della filosofia
che per le sue straordinarie doti di oratore.
In particolare, due erano state le opere
dell’autore latino che Dante aveva
letto in profondità: il Cato
Major de senectute e il Lelius de
amicitia, rispettivamente trattati pregni di argomentazioni sulla vecchiaia
e i rimedi per trascorrerla e sull’amicizia.
Cicerone, in uno
dei momenti più travagliati della sua vita, subisce anche un lutto gravissimo:
la figlia prediletta Tullia muore di
parto. È in quella circostanza che si ricorda del dolore di Gaio Lelio Sapiente, politico romano, per
la perdita dell’amico Scipione Emiliano,
passato alla storia per aver raso al suolo Cartagine.
Agnolo Bronzino, Ritratto di Dante Alighieri, 1532-1533, Galleria degli Uffizi, Firenze.
XIII secoli dopo, Dante, devastato dalla morte di Beatrice avvenuta nel 1290, s’immerge nella lettura delle opere
ciceroniane, in particolare del Lelius.
Ma come ci arrivò?
Nel secondo trattato del Convivio, tredicesimo capitolo, si legge:
[…]
dico che, come per me fu perduto lo primo diletto de la mia anima,
de
la quale fatta è menzione di sopra, io rimasi di tanta tristizia punto,
che
conforto non mi voleva alcuno.
Tuttavia,
dopo alquanto tempo, la mia mente, che si argomentava di sanare, provide,
poi
che né ‘l mio né l’altrui consolare volea, ritornare al modo che alcuno
sconsolato aveva
tenuto
a consolarsi;
e
misimi a leggere quello non conosciuto da molti libro di Boezio, nel quale
cattivo e discacciato, consolato s’avea.
E
udendo che Tullio scritto aveva un altro libro nel quale,
trattando
de l’Amistade, aveva toccato parole de la consolazione di Lelio,
uomo
eccellentissimo, ne la morte di Scipione amico suo, misimi a leggere quello.
[…]
Dante si è
fatto l’idea che Beatrice, che
incontrerà un giorno nuovamente, dopo la morte dimori in una dimensione più alta. Per
superare la sua perdita, il primo diletto
della sua anima, si affida alla funzione catartica della lettura: il De consolatione philosophiae di Severino Boezio che, a sua volta, cita proprio Cicerone e il suo trattato
sul dolore di Lelio per l’Emiliano.
Dante scopre la filosofia e la intende
come donna [lat. domina, “signora”,
“padrona”] degli autori classici, gentile e misericordiosa.
Nel Medioevo la filosofia è Teologia, rappresentata
nella Divina Commedia dalla stessa Beatrice.
Straordinario il successivo passo del Convivio:
[…] E sì come suole che l’uomo va cercando
argento e fuori de la ‘ntenzione truova oro,
[…]
io, che cercava di consolarme, trovai non solamente a le mie lagrime rimedio,
ma vocabuli
d’autori
e di scienze e di libri: li quali considerando, giudicava bene che la
filosofia, che era donna
di
questi autori, di queste scienze e di questi libri, fosse somma cosa. E
immaginava lei
fatta
come donna gentile, e non la poteva immaginare in atto alcuno, se non
misericordioso; […]
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