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IL SENSO DI APPARTENENZA di Luciano Armeli Iapichino


Ognuno di noi sente dentro un richiamo viscerale orientato verso uno spazio, un tempo, una dimensione, un sentimento, un’immagine, una pellicola, un libro, una foto…

Orizzonti tutti che si elevano a fortezze inespugnabili del nostro patrimonio emotivo. 

Orizzonti che si vestono persino di sacralità, altari curati in cui sostare in ossequioso silenzio.

Può succedere, poi, che molti di questi orizzonti si intersechino tra loro, aumentando una sorta di senso di appartenenza in cui restiamo inamovibili, attaccati, nonostante il fluire del tempo, della quotidianità, della trincea professionale.

Il mio perimetro, in tal senso, è ben definito; ha molti elementi che richiamano luoghi precisi, tempo storico preciso, immagini in bianco nero, alcune delle quali cristallizzate anche nel presente e archiviate nel vintage (potenza del richiamo dell’appartenenza). Non so se la venerazione del passato, in cui archivio anche pezzi dell’oggi, mi dia più slancio creativo o semplicemente la certezza del rifugio in ciò in cui mi sento a mio agio (Nietzsche mi avrebbe bacchettato), ma non riesco più a proiettarmi nel futuro senza filtri a ritroso. 

A volte mi capita di “vedere” il vocio cantato degli anglo-americani sulle jeep, o il dialogo di geografi in atmosfera coloniale, o un confronto da tribuna intellettuale anni ‘60, o un’immagine vissuta nel presente traghettata in sfondi con mobilio antico.

 In foto, la nota libreria parigina “Shakespeare and Company”, fondata dalla statunitense Sylvia Beach negli anni ‘20. 


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