Giuseppe ANTOCI
Che la prima emergenza di questa nazione resti quella culturale è, e continua a essere, evidente anche in questi giorni di delirio nazionale, in cui il linguaggio non corrisponde esattamente alla corretta interpretazione della realtà. E di questo non allineamento convenzionale si era accorto Aristotele non poco tempo fa. Mi sovviene la violenza di gruppo, l’abuso sistematico, la pratica dolorosa del protocollo inquisitore al de cuius, ovvero il termine “statista”.
Ma questo Paese resta pur sempre un grande Paese. Quello per cui bisogna, ogni tanto e a turno, sfoderare il senso civico
e lottare per la difesa delle libertà, dei diritti, della dignità dei martiri che si sono immolati per il nostro “stato di diritto”, per la giustizia.
Sì, è vero. La nostra democrazia è malata ed è immatura. Ed è malata ed è immatura perché la sovranità popolare è immatura, indifferente e irresponsabile nello scegliersi una classe dirigente che presenta sempre più impresentabili senza sconvolgersi.
Per certi aspetti, per certe trame occulte, per la storia stragista e per le mancate verità il nostro paese, e lo dico con grande tristezza, resta più vicino ai modelli sudamericani che europei.
Gli apparati deviati e le lobby di potere occulto hanno aggrovigliato i tre poteri dello Stato, e la matassa non è affatto facile da districare. Certo!
Ma questo non significa scoramento e/o pessimismo e/o disimpegno.
Significa, parafrasando Costanzo Preve, che bisogna difendere a tutti i costi e con i denti il grande lascito degli antichi greci, “quello di “natura umana” intesa come unione di uomo sociale, politico e comunitario (questo per natura non essendo un dio né un animale) e capace di gestire il logos.”
Che è l’antitesi di quel processo attuale, in corso già da tempo, di addomesticamento dell’homo civilis e socratico quale motore di ragionamento e di pensiero critico, affogato nell’illusione del consumismo, da inquadrare con autoritarismi e ammansire
- con depistaggi,
- con l’informazione (o disinformazione o informazione di parte) a reti unificate,
- con l’accettazione passiva del capovolgimento della realtà.
Stiamo perdendo e confondendo sacche di generazioni. In tutto questo, al recente vertice della Fondazione CAPONNETTO a Firenze, convocato dal Presidente Salvatore CALLERI per serrare le fila in tempi di bilanci della lotta alla mafia e allo Stato deviato, ho incrociato un amico, un uomo la cui esistenza da qualche anno è cambiata radicalmente: Giuseppe ANTOCI. Giuseppe, sopravvissuto a un attentato nel cuore del Parco dei Nebrodi nel maggio del 2016, grazie al pronto intervento della squadra della Polizia di Stato guidata dall’allora Commissario di Sant’Agata Militello (oggi Vicario-Questore), Dott. Daniele Manganaro, conduce un perforante contrasto alla criminalità organizzata, raccontando la sua esperienza legata al Protocollo che porta il suo nome e che chiude i rubinetti delle truffe comunitarie AGEA, quelle dei terreni, alle consorterie criminali nazionali. Le più potenti. L’ultima incredibile intimidazione l’ha subita a Marzabotto il 10 giugno scorso, in cui Giuseppe era giunto dalla Sicilia per partecipare al Festival delle Memorie Civili e Ambientali. Dinanzi all’albergo sono stati posizionati due bossoli, violando il rigido protocollo di scorta a cui è sottoposto. Un segnale inquietante che dice tanto. Dice tutto. Forse troppo. Come gli occhi di Peppe. Gli occhi di un uomo che ha fatto una scelta e che molti non gli perdonano. Persino e paradossalmente in quella che un tempo si chiamava Antimafia. Quella che si è trasformata in convenienza e si è politicizzata. Quella che non è più intransigente e che non è capace di fare squadra in tempi di “vincoli associativi” in negativo. Anzi! Si auto-detesta. In un Paese distratto da altro, confuso, smemorato, disinteressato, Giuseppe ANTOCI sta conducendo la sua battaglia in nome dei nostri martiri, di quelli che credono in un mondo migliore, di quelli che se ne fottono. E persino di quelli che delegittimano. E che non sono pochi.
A lui rivolgo un grazie, ai suoi occhi di resistere, alla gente dabbene di supportarlo, alle nuove generazioni di acquisirlo a modello. È in gioco semplicemente la tenuta della civiltà prima della democrazia. Come da esempio è la surreale resistenza a oltranza per la silenziosa doccia di Provenzano (curatosi per magia in Francia) ad Attilio, condotta da mamma Angela e papà Gino Manca a Barcellona Pozzo di Gotto, contro un apparato masso-mafioso deviato ben strutturato da un lato e un demonio tanto invisibile quanto stupido dall’altro.
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