San Sebastiano, 1478-79,
Dresda.
Scrive Leonardo
Sciascia a proposito del San Sebastiano di Dresda (1476) del
nostro Antonello “…nella donna che
si affaccia da una quinta con il bambino in braccio, nelle figure che si
affacciano ai terrazzi, nelle graste e nelle grate, in quella borraccia appesa
a lato della finestra alta, c’è un’aria di casa, di pomeriggio messinese. Si
direbbe che c’è scirocco: quello stesso scirocco da cui l’inglese Brydone, a
Messina, si sentiva trafitti i nervi quasi quanto San Sebastiano dalle frecce
[…] le nuvole ferme, la luce: tutto sembra dire della snervata ora del
pomeriggio sciroccoso.”
Personalmente trovo Antonello uno straordinario artista che, oltre a coniugare la solidità e il rigore della pittura rinascimentale italiana con le tecniche e la minuziosa descrittività di quella fiamminga, racconta eventi sacri, descrive Santi e Madonne collocandoli nei luoghi del cuore, nelle atmosfere delle origini, fatte di paesaggi, luci, profumi, colori impregnati di assoluta sicilianità.
In un certo qual modo e per taluni aspetti, sembra quasi
possedere tratti quattrocenteschi surrealisti. Similitudine apparentemente
forzata e poco conciliabile con la linea del tempo ma se l’estetica surrealista
proviene, così come affermato da Max
Ernst, dall’accoppiamento di due
realtà apparentemente inconciliabili, il nostro messinese ne offre
molteplici esempi.
Penso ad esempio al San
Girolamo nello studio (1474), in cui, al di là di un
portale dal sesto ribassato, in un ambiente gotico, probabilmente sacro, appare
una sorta di ligneo palchetto teatrale, inaspettato e improvviso, che assurge
al ruolo di “Studio” del Santo dottore.
Saliamo pochi gradini e siamo seduti accanto a Girolamo che attende alla lettura di un grosso tomo. E ancora il nostro occhio vaga e indaga, osserva l’architettura che ospita la struttura-studio e si chiede: perché quelle che sembrerebbero essere le navate laterali di una chiesa sono dissimili? Perché da un lato gli archi ogivali si susseguono e dall’altro riusciamo a cogliere solo i pilastri polistili di fine navata?
Di certo però quelle maioliche pavimentali sappiamo riconoscerle come assolutamente “nostre”. E allora, forse, potremmo leggervi una citazione della Chiesa di Santa Maria Alemanna a Messina, rarità gotica siciliana, che da ragazzo Antonello avrà di certo visitato e ospitato nei ricordi.
Crocifissione, 1463-1465, Muzeul Naţional de Artă al României, Bucarest.
E le ambientazioni messinesi si susseguono ancora: nella Crocifissione di Sibiu le
isole Eolie fanno da scenario, sembra di intravedere Salina con le sue doppie
colline, così come ne La visita dei tre angeli ad Abramo (1460-65);
ancora lo Stretto fa da panorama alla Crocifissione di Anversa (1475).
E anche ne La pietà con tre angeli (1475) le absidi della Chiesa di San Francesco a Messina appaiono inaspettatamente dietro un’ala dell’angelo a destra e oltre sempre il mare. Tutto ciò racconta di una sacralità che, pur avendo una propria collocazione temporale e spaziale, viene trasposta e trasportata in un luogo (Messina) e in un tempo (quattrocentesco) altro, diverso, entrambi coincidenti con i luoghi ed i tempi dell’artista, forsanche legati alla memoria o al desiderio di casa e quindi al ricordo che emerge dei tempi trascorsi e/o al sogno di quelli che potrebbero arrivare.
Le due realtà inconciliabili trovano sulla superficie del dipinto, e quindi nell’assoluto, compattezza e ragione d’essere.
Chiudendo il cerchio e ritornando al morbidissimo San Sebastiano, sottolineerei quanto altrettanto improvviso e inaspettato, al pari del palchetto-studio di Girolamo, sia l’albero, che sorge in mezzo alla piazza pavimentata e al quale è legato il martire.
Tra l’indifferenza dei personaggi presenti qua e là nel dipinto, si svolge, quasi casualmente e surrealmente, la tragedia del martirio.
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