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UNA DELLE COSE CHE NON HO MAI COMPRESO NELLA STORIA DI ATTILIO MANCA, O FORSE SÌ di Luciano Armeli Iapichino

Non sto qui a ricostruire nuovamente le tappe della surreale “menzogna” creata attorno alla vicenda dello sfortunato urologo di Barcellona Pozzo di Gotto. Solo alcune considerazioni:
1) Non ho mai compreso perché in diciassette anni di insulto all’intelligenza umana e al senso di giustizia, l’Ordine dei Medici di riferimento o nazionali abbiano “accettato” passivamente (salvo il disappunto e il disgusto personali di qualche eccezione) le aberranti allucinazioni delle ricostruzioni autoptiche sul cadavere di Attilio Manca, l’antitesi fin troppo insopportabile tra il referto e le martoriate foto visibili al mondo, tra verità processuale e verità scientifica. Nessuna presa di distanza ufficiale.
2) Stesso discorso vale per la Magistratura. Tanti onesti magistrati hanno in cuor loro di certo chiesto scusa a quello stato morale per cui, ciceroniamente parlando, la Giustizia dovrebbe essere “osservata per l’utilità comune, che attribuisce a ciascuno la sua dignità”. Ma in fondo, una dichiarazione congiunta a tutela dell’onorabilità dell’Istituzione d’appartenenza poteva servire ed essere doverosa.
3) Infine: coloro che entrarono per primi, la mattina dell’11 febbraio del 2004, in quell’appartamento di Viterbo, siano state forze dell’ordine, poliziotti o altri, comunque soggetti autorizzati e capaci di comprendere da subito la differenza tra un omicidio, un suicidio, la messinscena di un suicidio, cosa avranno pensato, esclamato, e come hanno seguito in cuor loro il reiterarsi delle “balle” in questi lunghissimi anni? Perché non hanno mai, per ossequio alle Istituzioni e alla dignità della loro professione, rilasciato dichiarazioni? La paura, lo comprendo. Ma ora sono passati diciassette anni. E Attilio Manca poteva essere anche un loro familiare.
4) Per i famigerati giornalisti di grido nessuna considerazione. In ognuna di queste sollecitazioni si fa riferimento a un qualche giuramento professionale e istituzionale. Tutti coloro che hanno avuto a che fare con questa storia, direttamente e indirettamente, non dovrebbero credere più in quello che fanno, in quello che esercitano, in quello che rappresentano. La nostra Repubblica, il marcio della nostra Repubblica, passa anche e soprattutto attraverso la storia scomoda di Attilio Manca. Ognuno poi ha la coscienza che si merita. E uno specchio in casa ce lo abbiamo tutti. Ci sarà pure un giudice a Berlino.

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Luciano Armeli Iapichino è Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana

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