È salito sin lassù, sino al Monte delle Felci, una delle due gobbe di Salina.
Non da solo: con il suo flauto e la sua anima. Per forgiarsi al tutto, all’orizzonte, ai canti dei pescatori, alle altre sorelle, a Strombolicchio, a Ginostra, allo Scoglio di Basiluzzo, a Pollara, la caldera vulcanica che è diventata uno degli anfiteatri naturali più belli del Mare Nostrum. Forse del mondo. Per sentire u scrusciu du mari e raccontare, con il pentagramma pronto a incidere le note della natura, la sua favola del vento e del mare, uno dei documentari più profondi sul Mediterraneo trasmessi in tutto il mondo a firma di Paolo Gandini. E dopo qualche decennio, il maestro Calogero Giallanza non dimentica, pari tempo, oltre la bellezza che non si scompone, anche la tragedia del Mediterraneo. E in tempi di neofascismi serpeggianti, persecuzione degli ultimi, indifferenza per i barconi e la disperazione, per non far dimenticare l’unica storia dell’unico bacino del Mare Nostrum, insieme all’algerino Salim Dada, Andrea Piccioni e la marocchina Karima Skalli - la Shuluq Ensemble – firma The Dream of Ibn Hamdis. “The dream of Ibn Hamdis è una testimonianza. Anzitutto, quella di un “mare tra le terre”, il Mediterraneo, altalena di civiltà di una terra liquida, fluida sequenza di culture, reale utopia di storiche opportunità, geografica armonia del diverso, metafora di dialogo. Oggi è, di contro, un monologo del silenzio, una testimonianza di dolore; è l’immagine di una mano muta e disperata che giace su un fondale; un campo di onde in cui si è scatenata l’innaturale violenza sulla libertà, il frastagliamento di una uniformità culturale forgiata dalla natura e da secoli di storia. The dream of Ibn Hamdis, nel buio di mortifere speculazioni identitarie, vuole assurgere, di contro,a metafora della memoria, sonora cartografia dell’inclusione, spazio in movimento di immagini che si rincorrono in un unico bacino valoriale, imponendosi, pertanto, come voce di quel Mediterraneo che paga giornalmente il prezzo salato di un’antistorica ecatombe. Sul solco di una tradizione inaugurata da Ibn Hamdis, poeta arabo-siculo il cui canto elegiaco, dopo l’invasione normanna, si elevò ad al-Andalus, ovvero negli estremi confini occidentali dell’Islam intorno al XII sec., The dream of Ibn Hamdis è, parigrado,la sintesi di un’esperienza mistica che rimbomba nella mente e nell’anima dei viandanti del post villaggio globale affacciati, dopo aver percorso Medine senza tempo, da qualsiasi terrazza del Mare nostrum su un’indescrivibile pluriverso di universi: da Ortigia a Jaffa, da Ameria a Bijaya. Lo“Shuluq Ensemble”, Calogero Giallanza, Salim Dada e Andrea Piccioni, con la partecipazione di Karima Skalli, in The dream of Ibn Hamdis, fa affiorare, chiudendo gli occhi, briose melodie dei pescatori punici, ritmo scientifico, le letture delle stelle di Ipazia, il rimbombo delle anfore, la brezza salina portata dai venti del deserto, è magia che seduce, è la suggestione delle oasi nell’idillio di tramonti arabeggianti e purpurei. È il connubio divino tra akhbâr (leggenda) e popoli, tra stelle e marinai, tra arte e pace, tra note algebriche e musicali. Ed è il simbolo di una nobile rivendicazione: giù le mani dalla civiltà unica del Mediterraneo. Il progetto musicale di The dream of Ibn Hamdis si pone, dunque, come zemzem miracolosa in tempi di desertificazione spirituale che avanza, cristallizzando nella potenza del dettaglio le micro-percezioni sonore di un afflato senza fine, quello che giunge da uno spazio sconfinato, e in cui la fusione assoluta tra voce, strumento musicale e ispirazione, diviene, ancora oggi, l’ultimo dono dell’unica civiltà mediterranea”.
Per non dimenticare che il Mediterraneo è una sola storia che nessuno, per opportunità politica o geopolitica, potrà mai frantumare e cancellare. Una sola natura, un solo scirocco, un solo intreccio di voci. Una sola millenaria civiltà oltre ogni steccato, oltre ogni confine, oltre ogni ignoranza, oltre ogni convenienza politica. La coscienza dell’artista non ammette compromessi. Tutti diritti riservati.
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