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ADRIANO URSO, STORIA DI UN PIANISTA MORTO DI SOPRAVVIVENZA di Luciano Armeli Iapichino

Adesso suona il piano da un’altra parte. Ma almeno lo suona. Perché gli anni passati per la formazione, per elevarsi a eccellenza, per regalare sogni, per costruire atmosfere dell’anima, per soddisfare quella famelica passione di note, non potevano essere “buttati” nel nulla; non potevano svanire dinanzi all’inspiegabile, al tramonto, all’inimmaginabile, all’invisibile, a quel maledetto virus che ha piegato il pianeta, stremato i sopravvissuti, sfibrato l’ottimismo e messo da parte, come se non servisse, la creatività, il genio, la passione, il pentagramma, una voce, un libro. Adesso la platea è d’eccellenza: è la trascendenza. Questa è la storia del pianista jazz Adriano Urso, morto da rider a 40 anni, colto da infarto mentre spingeva la sua macchina al freddo durante una consegna. Morto di sopravvivenza. Come tanti operatori di cultura, musicisti, tecnici, fonici, cantanti, coristi, scrittori, che arrancano per garantire dignità alla dignità, vita alla dignità e dignità alla vita. Adriano Urso era, tra i musicisti raffinati, quello per eccellenza, di una raffinatezza che costruiva con le note come quando si vagheggia, ascoltando certi pezzi, l’atmosfera dei locali della Belle Époque o anni ’60, in cui il sottofondo musicale fa da dettaglio a una serata con una partner intelligente e di classe. E in cui si sussurrano, con un interminabile scotch sul tavolo che inumidisce le labbra e smorza l’inibizione, quelle rare emozioni del cuore che trabocca di vitalità. Un demiurgo di atmosfere sonore vintage e retrò. Ti vogliamo ricordare con le parole di Novecento, il pianista sull’oceano del film di Tornatore, all’amico Max: “I tasti finiscono! Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro. Tu sei infinito. E dentro quegli 88 tasti, la musica che puoi fare è infinita.” Adesso sei risalito sulla nave, quella che solcherà l'infinto e dove c'è bisogno di musica d'eccezione.
Immagine dalla rete.

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