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RICONCILIARSI CON LA BELLEZZA: ANCHE ELENA INVECCHIA (BENE) di Domenica Sindoni

 


Elena di Troia di Ettore Maria Merlino (Olio su tela, collezione privata2008)


Mitologia e filosofia, Elena e la fugacità millenaria del tempo, cultura, rover e pandemia nella raffinata analisi della Prof.ssa Domenica Sindoni, docente di latino e greco al Liceo Lucio Piccolo di Capo d’Orlando che ringraziamo. Per i nostri lettori un intreccio speculativo di notevole fattura che affonda le sue radici nella sconfinata acribia della studiosa siciliana.  

 

“Noi abbiamo esiliato la bellezza; i Greci per essa hanno preso le armi”

Albert CAMUS, L’esilio di Elena, 1954

È ormai sotto gli occhi di tutti che la nostra civiltà, che si proietta a grandi passi verso il futuro sulla scorta delle leggi della scienza e dell’economia, ha decisamente ridotto la sua considerazione delle discipline umanistiche. È opinione condivisa che, in un momento di crisi economica e sanitaria, sia più sensato fare investimenti nel campo tecnico-scientifico (formazione, ricerca, creazione o potenziamento di strutture) che in quello artistico-letterario; nel sentire comune non si capisce più “l’utilità” di studiare latino per 5 anni, sapere cosa abbiano detto i filosofi del ‘600 o affrontare la lettura di un’opera d’arte medievale.

Come diceva Gaetano Salvemini, però, la “cultura generale” è un “superfluo indispensabile”, che fa sì che ci sentiamo “esseri umani e non delle macchine specializzate”. È un gioiello prezioso che illumina le linee pur semplici dell’abito; è un balsamo rigenerante che cura le ferite dello squallore quotidiano; è la consapevolezza della vera bellezza, quella che si può tuttora riconoscere tra le rovine del Partenone come sul volto di una donna ancora affascinante nonostante l’avanzare dell’età.

Questa mitica bellezza, a cui gli antichi tenevano tantissimo, aveva un nome: Elena. Era la donna più incantevole del mondo, contesa tra Oriente e Occidente, per la quale i Greci combatterono la guerra di Troia; personaggio-simbolo che ha attraversato l’immaginario collettivo di tutti i tempi, rimasto vivo fino a oggi.

Omero, che l’ha “inventata” e ne ha consacrato l’assoluto fascino con i suoi immortali versi, ci spiega che a Troia Elena è certamente molto ammirata da uomini e donne. Tutti ne constatano la rara avvenenza; ma non tutti approvano la sua presenza nella comunità. È rispettata per volere dei capi; ma i personaggi di secondo piano o le persone comuni non la amano, perché riconoscono in lei la causa della sciagurata guerra decennale e vorrebbero liberarsene.

Gli anziani alle porte Scee dicono di lei:

“Non è vergogna che i Teucri e gli Achei schinieri robusti,

per una donna simile soffrano a lungo dolori:

terribilmente, a vederla, somiglia alle dee immortali!

Ma pur così, pur essendo così bella, vada via sulle navi,

non ce la lascino qui, danno per noi e pei figli anche dopo!”[1].

Priamo e i capi la onorano e la proteggono, Ettore incluso; la gente comune invece quando la vede si incanta per un attimo, ma, a conti fatti, ritiene che sia meglio mandarla via, per un’utilità generale.

La bellezza è un fattore aristocratico in Omero, è appannaggio di pochi eletti che ne apprezzano il valore e lo difendono, anche a costo di gravi sacrifici. L’indigente deve pensare a come arrivare alla fine della giornata, si accontenta delle sue cose povere ma utili; come conseguenza ha pensieri minimi e per questo non viene coinvolto nei processi decisionali.

Un rapporto più “democratico” con la bellezza si ha con l’avvento della polis. Ne è un esempio il pensiero del grande retore e oratore Isocrate, che nel suo “Encomio” loda Elena come una donna dai grandi meriti. Lungi dall’essere la sciagurata adultera dello stereotipo tradizionale, per lui è la “bellezza” stessa per la quale i Greci, coalizzatisi insieme, hanno preso consapevolezza di essere “Greci” e “amanti del bello”, e si sono armati contro i barbari rozzi che l’avevano rapita e per questo erano inorgogliti: il mito infatti sfocia nella storia, che annovera ben due conflitti degli Elleni contro i vicini Persiani. Anche lo storico Tucidide aveva fatto dire a Pericle: “amiamo la bellezza con naturalezza, amiamo il sapere senza rammollirci” (II, 40,1). C’è dunque una grande consapevolezza: l’identificazione di bellezza-sapienza-grecità, che Isocrate svela perfettamente nel suo encomio. Per quest’ultimo il popolo greco sarà libero (e superiore agli altri) fino a quando difenderà contro ogni barbarie la sua identità, che si esplicita nel binomio bellezza/sapienza = καλοκαγαθία.

Isocrate dimostra così i meriti di Elena: lottando per lei i Greci (e l’Europa) si sono uniti e hanno sempre mantenuto l’indipendenza dai Persiani (e dall’Asia); Elena ha dato il via allo sviluppo delle arti, perché grazie a lei Omero scrisse Iliade e Odissea e dietro di lui si espressero tutti gli artisti, anche nel campo della musica e delle arti figurative. Elena dunque diventa la Grecia stessa, è la rappresentazione della sua superiorità in virtù della sua cultura.

La bellezza per Isocrate ha anche un potere, non fisico ma etico: “proviamo invidia nei confronti di coloro che ci superano per intelligenza o per qualche altra qualità (…); invece verso coloro che sono belli, subito, non appena li vediamo, siamo ben disposti e non rifiutiamo di metterci al loro servizio come se fossero dei” (Enc. Elena 56). “E disprezziamo e chiamiamo adulatori coloro che si lasciano irretire da qualche altro potere, mentre riteniamo ‘persone di buon gusto’ coloro che sono schiavi della bellezza” (57).

Albert Camus (immagine dalla rete) 

“Perciò oggi è indecente proclamare che siamo figli della Grecia. Oppure ne siamo i figli rinnegati”.

Risuonano dunque di grande attualità queste parole di Albert Camus del 1954, che scriveva ancora: la nostra Europa, lanciata alla conquista della totalità, è figlia della dismisura. Essa nega la bellezza come nega tutto quello che non esalta. E, per quanto in modo diverso, esalta una sola cosa: l'impero futuro della ragione. Nella sua follia, essa allontana i limiti eterni e, nello stesso istante, oscure Erinni le si avventano sopra e la straziano”.

“Noi abbiamo esiliato la bellezza, i Greci per essa han preso le armi. (…) Il pensiero greco si è sempre trincerato nell'idea di limite. Non ha spinto nulla all'estremo, né il sacro, né la ragione, perché non ha negato nulla, né il sacro, né la ragione. Ha tenuto conto di tutto, equilibrando l'ombra con la luce.”

“Mentre Platone comprendeva tutto in sé, l'assurdo, la ragione e il mito, i nostri filosofi, che hanno chiuso gli occhi sul resto, non contengono che l'assurdo o la ragione. La talpa medita”[2].

Il nostro presente si sta scollando dal suo passato, dimenticandone i preziosi insegnamenti di armonia e limite. In nome di una ricerca della perfezione in tutti i campi (scienza, economia, giustizia, educazione ecc.) ci siamo affidati esclusivamente alla ragione, la quale, lungi dal darci l’esattezza che cercavamo, ci ha relegato nella solitudine delle nostre affollate città, che arrediamo con opere di vetro e acciaio dalle geometrie ardite ma gelide, dove viviamo in corsa tra un lavoro stressante e un tempo libero di stordimento. Siamo connessi a miliardi di persone, ma “soli” davanti a un terminale internet. Ci sentiamo “liberi” di muoverci ed esprimerci, ma ci stiamo rendendo conto che basta un micidiale microrganismo per chiuderci tutti dentro casa. Pretendiamo allora che la ragione debba trovare delle soluzioni ai nostri problemi, ma dobbiamo arrenderci al fatto che i luminari delle più nobili discipline scientifiche spesso navigano a vista.

Mηδὲν ἄγαν, “nulla di troppo”: gli antichi sapevano già che l’uomo ha dei limiti; per questo Socrate dichiarava che l’unica forma di sapienza che lui potesse avere è l’ammettere di non sapere. “Abbiamo esiliato la bellezza”, dunque; abbiamo ritenuto obsoleta la bellezza ereditata dal passato e ci siamo messi alla ricerca di qualcosa di diverso, infrangendo le “regole” di armonia ed equilibrio dell’oracolo di Delfi e invocando una libertà portata alle estreme conseguenze, all’eccesso appunto.

Elena è invecchiata per noi, e stiamo pensando di mettere in soffitta tutto il portato di bellezza (letteratura, filosofia, arte) del nostro passato. I Greci non l’avrebbero permesso. Per questo il grande poeta contemporaneo Ghiannis Ritsos ha trasportato Elena in una casa del Novecento un po’ polverosa, piena di vecchi e cascanti ricordi di un passato splendido, vedova (Menelao è morto da qualche tempo), senza più amici o amanti che vadano a trovarla. L’unica compagnia che ha sono le sue cameriere, le quali, come un po’ noi oggi, si burlano di lei e della sua vecchiaia, sfregiando le sue belle cose e infierendo sul suo bel viso, facendola così morire, giorno dopo giorno[3]. I Greci non l’avrebbero mai permesso. 

Il Ratto di Elena di Sebastiano Ricci, (Olio su tela 1700-10, Parma Galleria Nazionale)

E nemmeno i nostri antenati Romani. Ciò che noi definiamo “cultura generale”, o “cultura” tout court, in latino ha una denominazione molto chiara e inequivocabile: humanitas, umanità. È l’inclinazione naturale a interessarsi del prossimo sol perché è un essere umano come me (Terenzio); è la capacità dell’uomo di distinguersi dagli animali in virtù della dote divina dell’intelletto (Sallustio); è il prodotto di un processo educativo che contempli una formazione a 360°, tale da rendere l’uomo consapevole di far parte di una società organizzata e di farsi carico del suo progresso onestamente e responsabilmente (Cicerone). Per i Romani, dunque, essere colti ed essere uomini era sostanzialmente la stessa cosa.

Sarebbe bello allora non fare più distinzioni tra formazione scientifica e formazione umanistica, perché la scienza nasce dalla filosofia e la filologia è una disciplina rigorosa quanto la matematica; perché la conoscenza della letteratura ci rende medici più attenti verso il paziente, la contemplazione delle opere d’arte ingegneri più creativi, lo studio dei classici scienziati più razionali; perché la scienza non è “dell’uomo” (poiché non la controlla completamente) ma “per l’uomo”. Come è possibile vantarsi dei successi tecnologici che hanno consentito lo sbarco su Marte della navicella Perseverance, se ancora non riusciamo a far sì che milioni di bambini sulla Terra non muoiano più di fame?

È vero che Elena “ha qualche millennio di troppo” all’anagrafe, ma è ancora in una forma smagliante: non è ricorsa alla chirurgia plastica per nascondere le sue (poche) rughe e la possiamo ancora ammirare come una bella signora nei testi e nelle opere d’arte che il nostro passato ci ha tramandato. Fatti e situazioni sono ambientati apparentemente in un contesto molto diverso dal nostro, ma la sostanza è che la natura umana è sempre la stessa e non c’è molta differenza tra il comportamento degli Ateniesi durante la peste del 430 a.C. e il nostro nella pandemia del Covid 19 d.C. “Riconciliarsi con la bellezza” significa dunque fare pace con il nostro passato; maturare consapevolezza delle grandi potenzialità dell’uomo ma al contempo accettare serenamente i limiti di questa privilegiata condizione. Il primo passo verso il vero progresso.


Riproduzione Riservata 

 



[1] Omero, Iliade, III, 156-160; traduzione di Rosa Calzecchi Onesti.

[2] Albert Camus, L'été, dall’edizione italiana "Saggi letterari", (II ed. 1960) Edizioni Bompiani, traduzione di Sergio Morando.

 [3] Ghiannis Ritsos, Quarta dimensione, Elena, 1972

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